Spinto dalle continue innovazioni tecnologiche ma, soprattutto dallo stato di emergenza che il Covid 19 ha causato nella nostra società, lo smart working è divenuto una delle modalità lavorative preferite dagli Italiani.
Per evitare nuovi contagi e scongiurare il blocco delle attività lavorative dovute a eventuali quarantene di massa, molte aziende preferiscono, la dove possibile, far lavorare i propri dipendenti all’interno nella modalità smart working.
In Europa lo smart working funziona e, paradossalmente, i dipendenti che lavorano fuori dai luoghi riconducibili all’azienda, sono più produttivi ed efficienti, stimolati dall’ambiente domestico e dalla comodità di non doversi spostare dalle proprie abitazioni.
E in Italia?
In Italia, come sempre, ci sono diversi problemi dovuti dall’incapacità di molti lavoratori di rispettare le regole, abbiamo a che fare con indisciplinati e furbetti che, confondono il senso dello smart working, appropriandosi di lunghi permessi temporanei non autorizzati dai propri datori di lavoro.
Il vero problema è che lo smart working non prevede la firma un contratto lavorativo differente da quelli standard; è una modalità moderna di eseguire la propria attività lavorativa, una procedura che non prevede orari vincolati e specifici luoghi di lavoro.
In effetti, lo smart working, viene organizzato attraverso la determinazione di target e fasi lavorative, che vengono accordati tra le parti chiamati in causa, ovvero, il dipendente ed il datore di lavoro.
Differente è invece Il remote working (telelavoro), dove il datore di lavoro concede ai propri dipendenti la possibilità di svolgere l’attività lavorativa direttamente da casa, a patto che siano rispettati gli obblighi contrattuali e gli orari osservati, normalmente, nel luogo di lavoro.
In entrambi le modalità, è comunque implicito il rispetto scrupoloso delle regole, della riservatezza dei dati e delle informazioni aziendali, auspicando nelle condotte dei lavoratori dipendenti, impegno e massima dedizione.
Nelle mie attività investigative, capita sovente di osservare impiegati in smart working o in remote working che invece di lavorare sodo, passano il loro tempo affaccendati da attività che nulla hanno a che fare con la propria mansione lavorativa, e quindi c’è chi fa la spesa, chi va dal parrucchiere, chi sistema le siepi del proprio giardino, chi si allena in bicicletta e chi preferisce appartarsi con l’amante…
È pacifico come, Il datore di lavoro possa avvalersi di un investigatore privato autorizza per effettuare dei controlli sui dipendenti infedeli.
Quanto affermato è suffragato dal fatto che, numerose sentenze di Cassazione hanno, negli ultimi decenni, dato parere positivo circa le risultanze prodotte dai detective privati che, con i loro servizi hanno smascherato dipendenti infedeli, assenteisti, o che abusavano dei permessi previsti dalla legge 104/92.
Quindi, anche nei casi di smart working o il remote working, le investigazioni aziendali attuate per controllare i dipendenti sospettati di non rispettare gli accordi lavorativi, sono da considerarsi lecite.
È bene precisare come le investigazioni aziendali debbano essere attuate per il solo controllo degli illeci lavorati (assenteismo, doppio lavoro, abuso dei permessi 104 etc.) e non per controllare la qualità e le modalità del lavoro svolto dai propri dipendenti.